Da Bombay "porta dell'India", a Goa quest'itinerario è - come scrive Antonio Tabucchi autore del romanzo dal quale è tratto il film - "un perfetto notturno, nel quale l'ombra del mistero dell'India diventa la metafora delle ombre che accompagnano la nostra vita".Itinerario nella penombra alla ricerca di un amico scomparso, quasi un'inchiesta poliziesca. In un paese, dice al protagonista il medico del King Edwards Hospital, che è fatto apposta per scomparirvi.Ed il protagonista, infatti, finirà puntualmente per perdervisi. O ritrovarsi, a seconda dei punti di vista: poiché - e lo comprenderemo progressivamente, fino alle sequenze finali inutilmente esplicative - la ricerca dell'amico è invero quella di sé stesso.
Letteratura, quella di Tabucchi solo apparentemente facile da tradurre in cinema, poiché esplicitamente immaginifica, e quindi tanto più traditrice. Tentativo, quello affrontato da Alain Corneau, doppiamente arduo, per un regista che era noto finora per lo stile estremamente realista di film come SERIE NOIRE o LE CHOIX DES ARMES: creare uno spazio astratto, spirituale, nel quale far coincidere degli esseri alla ricerca della propria identità. Il tutto sullo sfondo terribilmente concreto, ripreso con la volontà di non voler sfuggire ad una verità resa quasi documentaristicamente, della realtà indiana.
Paradossalmente, se riferito alla vecchia e stucchevole polemica sulla "fedeltà" della traduzione in immagini di un testo letterario, Corneau ci riesce tolto quando (come nel finale sopraccennato) aderisce al procedimento letterario: allora diventa inutilmente allusivo, schematico e didattico.
Nel resto del film (come nelle bellissime sequenze della visita all'ospedale e le infinite prospettive di un'umanità dolente, o in quella - sconcertante e commovente - dell'incontro con l'indovina alla fermata dell'autobus) Corneau riesce a creare una sorta di magica atemporalità, di continuo rinvio dialettico fra la realtà dell'ambiente e la dimensione spirituale della ricerca metafisica. Con uno stile estremamente sobrio, fatto d'inquadrature fisse nelle quali i personaggi (primo fra tutti l'ispiratissimo Jean-Hugues Anglade) hanno tutto il tempo d'evolvere, fatto di un pudore sofferto che sembra fatto apposta per adeguarsi alla vicenda narrata.